venerdì 2 dicembre 2011

Solidarietà a San Pietroburgo

Domenica 27 novembre presso il famoso hotel Astoria a San Pietroburgo si è tenuta una giornata di solidarietà molto importante chiamata "Charity Winter Bazaar", la manifestazione organizzata da International Women's Club ha visto la partecipazione dei più importanti consolati onorari di San Pietroburgo che hanno venduto al pubblico prodotti e cibi tipici devolvendo il ricavato ai bambini poveri.
Tra i principali consolati quello tedesco, americano, indiano, olandese, turco, lituano, spagnolo, messicano, argentino, colombiano, turco e ovviamente italiano.


Il Consolato Generale Italiano è stato sicuramente quello maggiormente frequentato grazie ai piatti tipici e ai prezzi democratici, segno che restiamo uno dei paesi più amati e il nostro marchio regge negli anni.
Il personale del consolato ha partecipato attivamente con il console in persona Luigi Estero e famiglia, Alberto Facchetti e famiglia, Luigi Oppedisano... Tutti intenti a cucinare piatti nostrani come bruschette, vino, pasta e ovviamente il caffe. All'evento ha contribuito anche il "Caffe Italia San Pietroburgo" di Franco Casadei portando gratuitamente pizzette, dolci e mettendo in vendita modellini della Ducati.


Non solo cibi, ma anche gadget della squadra di calcio Zenit autografati dal nostro connazionale mister Luciano Spalletti e vestiti firmati italiani.
L'adesione all'evento è stata notevole, infatti entrambe le sale dell'hotel Astoria sono state piene per tutto l'arco della giornata e le persone non hanno badato a spese comprando di tutto e di più pur di contribuire in un'atmosfera molto natalizia.


La location è stata la prestigiosa sala dei ricevimenti dell'hotel Astoria, spesso utilizzata per fiere e incontri di spessore, e a nostro avviso migliore posto non si poteva scegliere visto la clientela che frequenta il rinomato hotel. Ovviamente l'entrata era libera e quindi hanno potuto partecipare tutte le persone, però già partire da un buon bacino di turisti ha sicuramente aiutato. La manifestazione ci ha permesso di conoscere anche il nuovo direttore italiano dell'hotel Astoria, Piero Magrino che si è dimostrato molto disponibile alla realizzazione di altri eventi analoghi.


Il primo dicembre per i russi significa l'arrivo dell'inverno e ieri hanno allestito nella piazza del Palazzo l'albero di Natale, il più alto della città con i suoi 28 metri... Natale e Capodanno a San Pietroburgo stanno velocemente arrivando.




Vogliamo anche informare i lettori che sempre il Consolato italiano ha da pochi mesi inaugurato una newsletter chiamata "QUI-Pietroburgo" per tenere aggiornati i turisti sugli eventi italiani più importanti a San Pietroburgo.

domenica 6 febbraio 2011

Petizione contro il criptaggio TV di RAI e Mediaset all'estero

Come sanno tutti gli italiani residenti all’estero (e ormai anche gli italiani condannati al digitale terrestre), in nome dell’assenza di non meglio specificati “diritti di diffusione all’estero”, siamo privati della visione di buona parte della programmazione televisiva pubblica, quella della RAI, ed ovviamente privata, Mediaset e La7.

Da anni, la Corte Europea di Giustizia, interpellata in merito, ha precisato che non esiste in tal senso vincolo alcuno. Infatti, in Europa, sia nell’Unione Europea che fuori da essa, non esiste alcuna televisione “in chiaro” che cripti alcunché: giusto per fare degli esempi, RTR Planeta (pubblica) e ORT (privata) russe, ma anche ZDF (tedesca), TV5 (francese), ARTE (franco-tedesca), PTP (portoghese), TVE (spagnola), BBC (inglese) e moltissime altre.

E poi, i criteri. Vengono criptate le partite di calcio, ma non i giri ciclistici. Le competizioni sportive, ma non le trasmissioni sportive. Lo sport, ma non la pubblicità. E poi i cartoni animati (pensiamo a quanti italiani all’estero hanno il problema di far apprendere la lingua italiana ai propri figli), e vari film e telefilm. Capita così che, in questo mondo globalizzato, la FIAT come la “Mario Rossi” SAS o SNC, la Roberts come la mozzarella campana, la Telecom come Viacal, Wind come Barilla, Rita Dalla Chiesa con i suoi divani come le centinaia di veline berlusconiane riciclate che hanno mancato il seggio parlamentare (Guzzanti padre parlò di “mignottocrazia”) con creme, pillole, lettini, lettoni, yogurt, cabale del lotto, telefoni zozzettoni, suonerie che pensi di comprarne una e ti ritrovi abbonato, insomma la vergognosa baraonda che pretende di mostrare le aspirazioni italiche, è sufficiente che paghi un passaggio pubblicitario su un canale nazionale piuttosto che sui canali locali interconnessi (tipo Odeon, per intenderci), per finire in casa di chiunque, sul pianeta Terra, abbia settato dei canali italiani per le più svariate ragioni. Ricordate le speranze degli albanesi, all’epoca di Enver Hoxha, che guardavano RAI 1 con una semplice antenna analogica?

Ma torniamo a quel che viene criptato. “L’ultima carrozzella”, con Aldo Fabrizi, ma non “Walker Texas Ranger” col santone Chuck Norris. Il “Maresciallo Rocca” con Gigi Proietti, ma non “JAG Avvocati in divisa”. La signora in giallo, ma non il tenente Colombo. E soprattutto, il primo tempo di, che so io, “La dolce vita”, ma non il secondo, oppure il secondo tempo di “C’eravamo tanto amati”, ma non il primo. L’elenco potrebbe essere infinito.

L’impressione è che sia tutto a discrezione del tecnico di turno, a seconda delle volte che va a prendersi un caffè. Per chi, come me, ha superato almeno i quarant’anni, tutto ciò ricorda l’epoca delle prime TV non RAI, tra cui quelle estere Telemontecarlo, la Svizzera Italiana, Antenne Deux e Capodistria. Solo che all’epoca criptavano esclusivamente la pubblicità. Il contrario di quanto accade oggi. E poi, all’epoca i danneggiati erano gli italiani in Patria, mentre oggi sono gli emigranti italiani nel mondo. Solo quelli iscritti all’AIRE (Albo Italiani Residenti all’Estero, presso ogni Consolato d’Italia nel mondo) sono quasi quattro milioni, per non parlare del formidabile veicolo immediato di diffusione della lingua e della cultura italiana (di cultura, invero, ce n’è sempre meno, ma non è questo il punto) che è la televisione tout court.

Con la presente petizione chiediamo che si faccia chiarezza una volta per tutte, e ci si adegui a quanto accade per le altre reti europee.

E’ ovvio che, una volta eliminato il criptaggio da parte della televisione pubblica (si rasenta l’interruzione di pubblico servizio), le reti private non potranno far altro che adeguarsi a loro volta, in nome della concorrenza.

Su questi temi, a suo tempo ne scrivemmo anche a tutti i deputati e senatori eletti nei collegi esteri, nonché agli eurodeputati italiani, delle ultime tre legislature. Muro di gomma: l’unica deputata ad avere aderito è durata appena due anni (2006-2008), era di Forza Italia. Nessun altro suo compagno di Partito, né di FLI, Lega Nord, UDC, PD, IDV, Verdi, PRC, PCdI, SEL e sinistra varia extraparlamentare ha usato la cortesia almeno di declinare l’invito, ad eccezione di un radicale, che ha, appunto, declinato.

Nel frattempo, in Europa abbiamo anche perso del tutto La 7, che, di punto in bianco, senza preavviso né spiegazione, ha deciso di criptare le trasmissioni in chiaro per l’Eurasia, trasmettendo invece gratuitamente verso gli USA. Eppure, ci sono circa 1,5 milioni di italiani nel continente americano (la stragrande maggioranza in America Latina) e più di due milioni in Europa. Serve dirlo? Abbiamo chiesto lumi a La 7 e ovviamente la risposta è caduta nel vento.

Ora il problema coinvolge anche gli italiani in Italia. Ricapitoliamo. Negli ultimi anni, cinque milioni di famiglie si sono fatte tentare dal pacchetto a pagamento Sky, appartenente allo “squalo australiano” Murdoch (lo chiamano così i suoi fautori, non c’è quindi alcun intento offensivo da parte nostra). Giova ricordare che, tra l’altro, sua è buona parte delle testate giornalistiche estere che, a differenza di quanto accade in Italia, non hanno taciuto in merito alle orge (nel senso letterale del termine) di Palazzo, sarde e romane, pagate dai contribuenti.

Oltre l’abbonamento, è necessario acquistare un decoder. In questo modo, era finora possibile guardare gratuitamente i tre canali RAI, i tre Mediaset e La 7, fatto non trascurabile per quelle zone italiane, e non sono poche, che hanno difficoltà ataviche di ricezione analogica, dovute a territori montuosi ed impervi. E questa era la prima fase.

Seconda fase. RAI, Mediaset, La 7 e tutte le TV locali sono gradualmente passate al cosiddetto “digitale terrestre”. Tanto per cambiare, occorre acquistare un decoder. Diverso da quello di Sky: non sono compatibili.

Terza fase. Il 30 luglio 2009 sono spariti da Sky i canali RAI Sat: Yoyo e Smash Girls (per l’infanzia), Premium (il meglio della RAI), RAI Cinema, il Gambero Rosso (cucina), RAI Extra. Il motivo? E’ scaduto il contratto RAI – Sky. Quest’ultima offriva 370 milioni di euro spalmati su sette anni, la RAI ha rifiutato. RAI 1, 2 e 3, e i tre di Mediaset, restano visibili, senza aggravi per Sky o i suoi abbonati, perché era ancora in vigore (poi scaduto il 31 dicembre 2009) l’accordo tra la TV pubblica e il Ministero delle Telecomunicazioni, che impegna la RAI a trasmettere su tutte le piattaforme, compresa quella satellitare.

Fase quattro. Murdoch (che ovviamente non è simpatico, ma ciò del resto non è richiesto) ha attaccato il gestore delle reti pubbliche, capo del governo, nonché proprietario delle maggiori reti private? L’onta verrà lavata, sempre a spese del cittadino. Prima con l’aumento dell’IVA al 20%, poi ci si inventa un’altra Sky. Si chiama Tivusat. Appartiene a RAI, Mediaset e Telecom (editore, tra l’altro, de La 7 e MTV). Altro decoder, ça va sans dire, incompatibile con Sky e digitale terrestre. “Incompatibile” vuol dire, tra l’altro (ma non solo), che col decoder Sky inserito non si possono attaccare al televisore i decoder Tivusat e/o digitale terrestre, per non parlare del costo di due decoder (o di un televisore di nuova generazione e di un decoder) e di due abbonamenti. Come che sia, ecco aggirato il vincolo imposto dal Ministero delle Telecomunicazioni. Contestualmente, vengono criptati tutti i film distribuiti dalla maggiore casa italiana, la Medusa. By the way, a chi appartiene? Lo sapete: al fratello del proprietario de ”Il Giornale”.

Abbiamo chiesto lumi scrivendo a quelli di Tivusat, dicendo loro:

Noi italiani all’estero, possessori di parabola, cosa dovremmo fare per continuare a vedere i canali televisivi gratuiti italiani, tornare in Patria a nostre spese per acquistare il Vostro decoder?! Iscritti all’AIRE, siamo tre milioni e mezzo nel mondo...

Ed ecco cosa ci hanno risposto:

In merito alla sua richiesta le comunichiamo che i decoder Tivusat sono in vendita esclusivamente in Italia; La tessera va attivata al numero unico 199.309.409 o via web all'indirizzo www.tivu.tv in nome e per conto di persone domiciliate in Italia.

In pratica, noi emigranti dovremmo tornare a nostre spese in Italia e comprare un decoder per poter vedere i canali TV gratuiti italiani, sia RAI che Mediaset e La 7.

Dicono di se stessi di essere "la prima piattaforma satellitare gratuita italiana". Già, che si vede gratis se compri a qualche centinaio di € il loro decoder.

Di più: noi italiani all'estero non possiamo acquistarlo all'estero, nemmanco in Italia, a meno di non commettere un falso giuridico perseguibile per legge (è esattamente quello che loro ci hanno proposto! Istigazione a delinquere), ovvero di acquistare in Italia il decoder a nome di un prestanome residente in Italia, ci si perdoni la (loro) tautologia.

Sì, avete capito bene: un italiano residente all'estero non può acquistare il decoder di Tivù Sat.

A morire se si riesce a scoprire, al di là delle partecipazioni di RAI, Mediaset e Telecom (La 7), chi sia, che so io, l'Amministratore Delegato.

Agosto 2009. Senza preavviso, due autogol, nel senso di due partite di calcio criptate: Italia – Svizzera under 21 e Inter – Lazio. Ecco che torniamo al trattamento finora riservato agli emigranti e, a ritroso, agli anni ’70 di Telemontecarlo, Svizzera e Capodistria. Certo, le partite sono state trasmesse su Tivusat. Come detto, altro ennesimo decoder, alla modica cifra di euro cento. Però così RAI e Mediaset si vedono anche dove è impotente il digitale terrestre. Ma come? Non avevano detto che il digitale terrestre era la panacea delle zone difficoltose per l’analogico?

Qui, prima o poi, scatterà la fase cinque: anche la RAI solo a pagamento, niente più servizio pubblico. Vaneggiamenti? Considerate come avreste reagito nel 2005 se vi avessero detto che non avreste più visto RAI e Mediaset senza un decoder, Tivusat, Sky o terrestre che sia.

E in Europa? Per ora, vediamo in chiaro, pur con tutti i criptaggi vessatori possibili e immaginabili, RAI 1, 2, 3 e i tre di Mediaset (della politica filo USA de La 7 e perciò di Telecom Italia abbiamo già detto).

Una breve nota di colore a chiosa va spesa ricordando che Putin, capo del governo russo, a differenza del suo omologo italiano, non è preoccupato da presunti lettoni che gli vengono ascritti dai pennivendoli della penisola mediterranea. Preferisce pensare alla diffusione della televisione digitale, che è già una realtà nel 10% del territorio russo (stiamo parlando di un Paese con undici fusi orari). Diffusione, attenzione… gratuita. Forse non è chiaro: gratuita, repetita juvant. Sia via satellite che via cavo (che sarebbe il “digitale terrestre”: in Italia amano sempre complicare le cose). Il processo di digitalizzazione dovrebbe concludersi entro il 2015. Un processo “graduale, naturale, impercettibile e non oneroso per il consumatore”, ha detto Putin il 30 giugno 2009. “Finché il 95% della popolazione non avrà ricevuto i decoder e non avremo assicurato loro un segnale digitale stabile, proseguiremo anche con le trasmissioni analogiche”. Forse è sfuggito il concetto: i decoder dovranno essere “ricevuti”. Gratuitamente.

Quando leggiamo quel che scrivono i vari pennivendoli italiani della Russia, sembra di leggere di una Russia da mondo parallelo, tipo Star Gate. Ebbene, essi ritengono di trovarsi nel Paese del socialismo reale, vedendone solo gli aspetti negativi. Socialismo reale decisamente no, i citati pennivendoli arrivati con quasi vent’anni di ritardo, ma indubbiamente questi sono elementi reali di socialismo, oggettivamente condivisibili, comunque la si pensi.

Ecco l'indirizzo della petizione, che vi chiediamo di firmare:

http://www.petizionepubblica.it/?pi=nocriptv

lunedì 17 gennaio 2011

Intervista a Vittorio Torrembini

GIM-Unimpresa è nata circa quindici anni fa come associazione delle grandi aziende italiane presenti a Mosca. Nel corso di questi tre lustri essa si è trasformata nell’unica associazione delle imprese italiane – segnatamente, anche e soprattutto quelle piccole e medie, che costituiscono il tessuto vivo del “sistema Italia” – operanti nella Federazione Russa, ed è membro associato della Confindustria. A Vittorio Torrembini, residente in Russia da oltre vent’anni, che ne fu Presidente agli albori, e che ne è nuovamente Presidente da poco meno di tre anni, abbiamo rivolto alcune domande.

Oltre all’augurio di rito a tutti noi per un 2011 produttivo, è opportuno iniziare analizzando l’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle. Quali sono stati i punti qualificanti della vostra attività in Russia durante il 2010?

Uno dei punti più qualificanti è stato quello dell’accentuazione della nostra presenza e della funzione della nostra associazione nei confronti delle autorità governative russe. Vorrei ricordare solamente l’incontro che abbiamo avuto a marzo 2010 con la ministra per lo sviluppo economico Nabiullina, che ha ricevuto una delegazione del GIM, durante il quale abbiamo affrontato una serie di problematiche che riguardano gli investitori stranieri e i rappresentanti delle comunità d’affari straniere in Russia, soprattutto quelle italiane. Abbiamo poi messo a segno una serie di importanti contratti sia nel settore energetico che in altri settori chiave dell’industria italiana, che con il 2010 ha ripreso ad avere una presenza forse non preponderante, ma comunque vicina ai livelli del 2008.

Nella comunità italiana in Russia talvolta girano voci circa una vostra presunta predilezione per le grandi industrie (ENI, ENEL, FIAT, Finmeccanica, ma sono solo degli esempi) a scapito delle piccole e medie imprese. Come stanno realmente le cose? Quale quota, tra gli associati, rappresentano le PMI? E, in ogni caso, come commenti queste voci?

Sono voci legittime. La presenza delle piccole e medie aziende, che è stato uno degli elementi caratterizzanti del GIM negli ultimi quindici anni, lo è tuttora: circa l’80% degli iscritti all’associazione sono piccole aziende, studi professionali, ecc.; però devo dire che la nostra presenza in questo Paese si è profondamente modificata. Abbiamo più di sessanta aziende che hanno attività produttive in Russia – oltre alle grandi, abbiamo anche le piccole e le medie aziende – e sostanzialmente è avvenuta una strutturazione della nostra presenza, che ha fatto sì che anche le piccole e medie imprese acquisissero delle strutture importanti. Insomma, la fotografia degli associati al GIM rispecchia quella che è la realtà della presenza italiana in questo Paese.

Su questo argomento vorrei però aggiungere che l’approccio che dobbiamo avere sulla questione della piccola e media industria non può essere tanto sulla presenza italiana in Russia e sul GIM, ma soprattutto sulle PMI in Italia. Purtroppo, nel nostro Paese – per effetto della crisi, del debito pubblico, delle politiche di sostegno alle PMI che sono ridotte al lumicino – manca una strategia: le necessità del mercato internazionale, che si è allargato e che vede il nostro Paese perdere posizioni di anno in anno, fanno sì che anche la struttura industriale italiana abbia bisogno di una modifica. Noi necessitiamo di piccole e medie imprese che si associno, abbiamo bisogno di aziende che lavorino per filiera, per reti. Questo è anche uno degli obiettivi del GIM. La presenza italiana in questo Paese è la dimostrazione di come effettivamente ci si stia muovendo in questa direzione: abbiamo Società, studi, uffici di rappresentanza che in buona parte dei casi rappresentano aziende specifiche, ma un’altra notevole parte rappresenta gruppi di aziende. E’ questa la maniera giusta per approcciare il mercato estero.

C’è anche un secondo punto che merita di essere sottolineato. Dicevo prima che manca una politica a favore delle PMI. Ebbene, uno degli obiettivi che non è stato centrato negli ultimi vent’anni nel nostro Paese è quello di aggregare, attorno alle iniziative delle grandi aziende, il lavoro delle piccole e medie imprese: strutturarlo, coordinarlo. Noi abbiamo la presenza di ENI ed ENEL con grandi attività industriali in questo Paese: l’obiettivo a regime è quello di collegare le necessità delle subforniture delle aziende dell’indotto al lavoro delle grandi aziende. Questa è la funzione che deve avere la nostra associazione: quella di creare una rete attorno alle aziende italiane che lavorano in Russia, per garantire lavoro anche alle PMI. In altre parole, quello che era avvenuto in Italia negli anni ’60 e ’70 si deve ora trasferire nei mercati esteri dove siamo e dobbiamo essere presenti. Questa è la differenza che possiamo riscontrare tra il GIM del ’94-’95 e quello del 2010.

Cosa ci puoi dire della collaborazione tra GIM-Unimpresa e le istituzioni italiane presenti in Russia, Ambasciata e Consolato in primo luogo, ma anche Istituto per il Commercio Estero, Ente Nazionale Italiano per il Turismo, l’agenzia di promozione della CCIAA di Milano “Promos”, Banca Intesa, Unicredit, Camera di Commercio Italo-Russa?

Storicamente, è una collaborazione molto stretta ed estremamente positiva, che in alcuni casi però risente del bilancio pubblico del nostro Paese, che taglia in modo indiscriminato tutte le spese in modo lineare, come suol dirsi, cosa che avrà anche permesso di salvare in parte i conti pubblici, ma facendo questo si penalizzano soprattutto quei settori – come il commercio estero – che al contrario avrebbero bisogno di essere privilegiati. Quindi, come dicevo, i nostri rapporti sono strettissimi, avendo creato un prototipo di collaborazione, un “sistema Italia”. Purtroppo, spesso mancano risorse, e a volte mancano anche “orecchi” italiani che ascoltino le nostre richieste.

Faccio alcuni esempi. Poco tempo fa abbiamo fatto una lettera di protesta perché il Ministero aveva deciso di chiudere il desk che era acquartierato all’interno dell’ICE, responsabile per la contraffazione e la difesa della proprietà intellettuale. L’abbiamo inviata al Ministro per protestare contro il fatto che un’iniziativa estremamente positiva d’improvviso si sia deciso di chiuderla del tutto, quando invece Russia, India e Cina sono i Paesi dove ce n’è più bisogno. Insomma, questo tipo di collaborazione bisognerebbe trasferirla anche in Italia. Noi come GIM, essendo un’arteria della Confindustria, esprimiamo le nostre opinioni anche a livello nazionale quando vengono i rappresentanti del governo italiano qui. E’ evidente che la stessa cosa non può avvenire nel caso dell’ICE, che ha un ottimo ufficio che svolge un lavoro enorme. Per fare un esempio, in proporzione a quello della Germania, è decisamente superiore, ma è un’istituzione vituperata e poco conosciuta, ed io dico sempre che se i tedeschi avessero l’ICE che abbiamo noi qui a Mosca, probabilmente riuscirebbero a raddoppiare l’interscambio con la Russia. Solo che i tedeschi hanno 1.500 aziende, e noi ne abbiamo 80.000 da seguire. Se qualcuno conoscesse il livello di lavoro che ha l’ICE, che ha la Promos, che ha la Camera di Commercio Italo-Russa a livello di richieste di informazioni quotidiane, capirebbe benissimo che è assolutamente improponibile che una struttura del genere possa rispondere a tutto ciò.

Che tipo di rapporti intrattenete con le istituzioni russe (Ministero degli Esteri, Commercio Estero, Sviluppo Economico, Dogane, ecc.)?

Rapporti ottimi. Però molto aperti. Il “motto” del GIM è “volendo essere amici di questo Paese, ci permettiamo anche di dire quando le cose non ci vanno bene”, o quando ci sono delle osservazioni, delle critiche da fare. Ho visto e detto che questo approccio viene particolarmente apprezzato. Ho già citato l’incontro con la ministra dello sviluppo economico Nabiullina. Ritengo che siamo l’unica associazione imprenditoriale in Russia ad avere avuto un incontro specifico col ministro dello sviluppo economico. Abbiamo inoltre lo European Business Club, che è una sommatoria di lobbies di grandi multinazionali di alcuni settori che si vede col ministro degli esteri Lavrov, e non abbiamo alcun problema a confrontarci con i funzionari del Ministero degli Esteri, ma anche con l’ambasciatore russo in Italia Meškov. Insomma, i rapporti sono eccellenti e costruttivi. C’è il grande tema delle dogane, che è uno dei punti dove manifestiamo di più sia l’amicizia che la critica: effettivamente è uno di quei “bubboni” che la stessa amministrazione pubblica russa non è ancora in grado di gestire nella maniera dovuta, e che credo provochi dei danni anche alla loro stessa economia ed imprenditoria. Io ho capito e vedo che la stessa dirigenza russa è consapevole di questo fatto, e ritengo che l’unione doganale tra Russia, Russia Bianca e Kazachstan sia un tentativo di ricondurre a dei termini normali l’attività della dogana, ma è un processo abbastanza complicato: teniamo presente che la dogana russa incassa circa il 50% del budget di questo Paese.

Un altro stereotipo da sfatare è quello per il quale sareste presenti solo a Mosca. Come stanno le cose, in realtà?

Noi siamo presenti dove ci sono gli italiani. Questi ultimi sono per la maggior parte a Mosca. Ce n’è un buon gruppo a San Pietroburgo, dove c’è una sezione del GIM, un’altra presenza – per il momento non estremamente significativa – è a Ekaterinburg, anche qui stiamo aprendo una filiale; un’altra filiale dovremmo aprirla a Krasnodar a marzo del 2011, poiché vi si è concentrato un gruppo di aziende che sono interessate soprattutto allo sviluppo delle attività legate alle Olimpiadi invernali di Soči del 2014, presenti ormai in maniera stabile.

Alcuni imprenditori italiani di lungo corso sono stati nominati consoli onorari in vari distretti industriali russi – le cosiddette ZES, zone economiche speciali – nell’ambito dei quali operano in simbiosi con le aziende italiane presenti. Quali obiettivi sono stati raggiunti? E quali ci si prefigge di raggiungere?

L’esperimento dei consoli onorari è stato estremamente positivo, sia per le aziende, che in questo modo hanno la possibilità di essere seguite nelle singole regioni di questo Paese, sia per il nostro Paese in generale, che, pur in assenza di grandi fondi, riesce comunque a coprire un territorio come quello russo, estremamente grande e variegato, e che vede proprio nelle regioni l’obiettivo e la strategia della propria presenza finalizzata allo sviluppo delle nostre aziende e del nostro Paese stesso.

Veniamo all’anno appena iniziato. La crisi globale sembra timidamente cedere il passo. Cosa ci si può aspettare, con sobrietà?

Per quanto riguarda la Russia, ritengo che possiamo aspettarci un consolidamento del trend della ripresa economica che si sta manifestando a livello generale. Devo però allo stesso tempo esprimere alcune perplessità su come i giusti messaggi, che vengono lanciati dal mondo politico ed economico russo per quanto riguarda la modernizzazione dell’economia di questo Paese, molto spesso vengano indeboliti dalla battaglia politica, che si sta ormai vistosamente manifestando per le prossime elezioni, prima quelle parlamentari alla Duma alla fine del 2011, e successivamente quelle presidenziali del 2012. Io spero, come si dice un po’ in tutta Europa, che prevalga il senso di responsabilità, prevalgano i giusti messaggi lanciati a livello generale dal mondo politico russo, quelli della modernizzazione come strategia, poiché credo che questo influirà positivamente anche sulla ripresa economica di questo Paese. A giudicare dai segnali che tutti abbiamo avvertito, vedo un fortissimo interesse da parte di tante aziende italiane per venire a fare investimenti in Russia. Molti di questi ultimi sono già programmati. Parlando con vari colleghi ho intuito che in molti dei nostri settori tradizionali – quello della moda, dello stile di vita italiano – la ripresa si sta consolidando. Ritengo quindi che l’anno che abbiamo davanti, se non succede nulla di particolare, cosa che non si può mai escludere, sarà estremamente positivo, e lo sarà soprattutto per gli investimenti diretti italiani in questo Paese a livello industriale in moltissimi settori.

Il 2011 è l’anno della lingua e la cultura russa in Italia e, viceversa, della lingua e la cultura italiana in Russia. Per questo secondo aspetto, al di là del ruolo dell’Istituto Italiano di Cultura, presente a Mosca e Pietroburgo, quale può essere il contributo delle aziende italiane e, più specificamente, della vostra associazione?

E’ un contributo che ormai sta scritto anche nei bilanci di molte delle nostre aziende, nel senso che i programmi culturali e linguistici previsti per questo anno vedono moltissime Società italiane nel ruolo di sponsor delle relative iniziative. L’elenco è in continua evoluzione, sta crescendo. Posso dire questo: il nostro Paese è molto considerato in Russia, con tutti i suoi pregi e difetti. I russi dispongono di una grande capacità di analisi, e noi siamo visti bene. Ritengo che sia un’occasione per cercare di far capire quali siano i punti di forza – spesso negati – della nostra industria e del nostro Paese. E’ dunque un obiettivo che non riguarda tanto le aziende in quanto tali – cosa che sarebbe comunque positiva – quanto il Paese Italia nel suo complesso. Occorre far valorizzare il lavoro degli italiani all’estero, noi lavoreremo in questa direzione: far conoscere in Italia le possibilità e i contributi che gli italiani e le aziende italiane che lavorano all’estero stanno dando al nostro Paese per il suo rinnovamento e per uscire dalle attuali gravi difficoltà. Questo messaggio deve passare attraverso la cultura per arrivare alla politica, all’economia. Questo sarà il piccolo grande contributo che noi, al di là delle sponsorizzazioni, vogliamo dare a questo evento.

Inevitabile una domanda riguardo non tanto alle informazioni contenute negli ormai famosi cablogrammi statunitensi divulgati da Wikileaks, quanto all’uso che ne hanno fatto i mass-media italiani in merito non solo ai rapporti preferenziali ai massimi livelli tra i nostri due Paesi, ma concretamente ai rapporti tra gli imprenditori italiani presenti in Russia e le istituzioni di questo Paese. In brevis, Wikileaks non si è mai sognata di affermare che talune affermazioni nordamericane corrispondano alla realtà dei fatti: si è limitata a rendere pubbliche le opinioni dei diplomatici USA. Nulla di più, nulla di meno. Su questo però gli organi di informazione italiani hanno unanimemente glissato. Quali commenti ti senti di fare?

Sono dell’opinione che i commenti diplomatici fatti off record, come sono i cablogrammi che vengono spediti, sono opinioni che appartengono alle singole persone. I rapporti tra i Paesi sono regolati da dichiarazioni ufficiali, ed io mi attengo a queste ultime. Tuttavia, emerge innanzitutto una certa insoddisfazione, una critica che emerge dai politici americani sui rapporti che ha l’Italia con la Russia, questo è innegabile, e non c’è bisogno di Wikileaks, basta parlare con molti imprenditori e politici statunitensi per comprendere che questo rapporto privilegiato – lasciamo perdere Berlusconi, tanto per esser chiari – che esiste tra i nostri due Paesi da fastidio, agli americani come ad altri. Sin qui, nulla da dire. Io ribadisco che questi rapporti per noi sono importanti e strategici. D’altro canto, non è la prima volta che gli americani si lamentano delle scelte strategiche italiane relative ai rapporti con la Russia. Basta ricordare la vicenda di Enrico Mattei. I comunisti in Italia erano all’opposizione. Enrico Mattei è stato il primo imprenditore statale europeo che ha intessuto rapporti commerciali stretti con l’Unione Sovietica, la qual cosa ha provocato problemi anche gravi con gli Stati Uniti, soprattutto li ha provocati lo stesso Mattei, che, con ogni probabilità, proprio per questa sua apertura, ha dovuto interrompere in modo violento la sua carriera. La storia ci insegna che la strategia del nostro Paese sul piano economico – per vari motivi – è diversa da quella degli Stati Uniti. In un’economia internazionale globalizzata, come è quella di oggi, il fatto che i Paesi abbiano interessi strategici e geografici diversi da quelli degli USA non deve scandalizzare nessuno.

Il secondo elemento che noto è la povertà, la pochezza di analisi sulla politica internazionale della nostra stampa italiana. E non mi riferisco a quella di destra o di sinistra, ma ai media italiani in quanto tali, che vivono la politica internazionale come un gossip quotidiano del nostro Paese. La politica internazionale è fatta di strategie, di analisi. Noi sembriamo agli albori. Voglio dire che anche i migliori analisti degli anni ’80 non hanno più spazio nei mass media italiani, questa è la cosa grave. Conseguentemente, questioni serie ed importanti vengono ridotte a teatrini, quello che è stato pubblicato nel 90% dei casi sono stupidaggini. Le cose serie, invece, non vengono fuori. Nessuno di questi cosiddetti grandi giornalisti – sia detto tra virgolette, visto che purtroppo non ce ne sono più tanti – si è mai sognato di andare ad analizzare, a verificare. Pubblicano notizie tipo “l’uomo che parla benissimo russo, il trait d’union”… Qui non c’è bisogno di alcun trait d’union, l’Italia è vista bene, quando veniva Prodi veniva ricevuto come rappresentante massimo del nostro Paese, e lo stesso quando viene Berlusconi, al di là delle sue amicizie. Quando viene l’amministratore delegato dell’ENI, viene ricevuto in pompa magna, che ci sia un governo di destra o di sinistra, e lo stesso vale per l’ENEL, per Finmeccanica e così via, questo è il punto. Allora anche la stampa italiana deve cominciare ad imparare innanzitutto ad analizzare le notizie, e ad avere una politica di informazione per il nostro Paese che parli dei livelli internazionali in modo diverso dal gossip.

Assieme all’attuale direttore dell’ICE di Mosca, Roberto Pelo, recentemente hai pubblicato un libro dal titolo programmatico “Sdelano v Italii”, “Fatto in Italia”, cioè “Made in Italy”. Quali obiettivi ti eri e vi eravate prefissi, nello scriverlo? E quali di questi sono già realizzati?

L’obiettivo era di cercare di mettere assieme, di creare un momento di analisi reale, depurato dai gossip, sulla nostra presenza in questo Paese. Delle “istruzioni per l’uso”, cosa hanno fatto gli italiani qui negli ultimi vent’anni, cosa possono fare nei prossimi vent’anni. Pur nella necessità di stringere, penso che il libro abbia raggiunto questo obiettivo, anche durante le varie presentazioni del libro in Italia l’attenzione che ci è stata dimostrata è notevole. Voglio ricordare solo una cosa: nel nostro Paese esiste una rivista che si chiama “Limes” e che si occupa parecchio di Russia in un modo che molto spesso non condivido; ebbene, hanno mostrato grande attenzione al nostro libro, fino a trarne una serie di spunti. Io stesso sono stato contattato da Caracciolo, che ha intenzione di fare un pezzo particolare sul libro perché viene ritenuto un modo nuovo di parlare e di discutere della presenza economica italiana in questo Paese, al di fuori dei giochi e degli intrighi politici. Questo libro è la dimostrazione di come la presenza italiana in Russia non è solo ENI, ENEL e Finmeccanica, ma decine e decine di altre aziende: la Indesit, la Ferrero, tantissime altre piccole e medie, che qui hanno fatto grandi realizzazioni e che caratterizzano la presenza italiana in questo Paese. E’ un tentativo di riportare al centro quello che è stato il nostro lavoro e le possibilità che ci sono, e fare chiarezza, dare “istruzioni per l’uso”, come già dicevo, per quelle aziende italiane che vogliono affrontare questo mercato. Nelle prossime settimane cominceremo a presentare l’edizione russa, e spero che abbia la medesima risonanza anche tra i russi, ma credo che l’obiettivo che ci eravamo prefissi in buona parte sia stato realizzato. Mi corre l’obbligo di cogliere l’occasione di questa domanda per ringraziare tutti gli imprenditori italiani che hanno lavorato e lavorano in questo Paese, che mi hanno permesso di avere accesso ad informazioni particolarmente importanti, e tutte le aziende del GIM, piccole, medie e grandi, che hanno permesso al libro di avere questa risonanza. Last not least, voglio ringraziare la casa editrice, “Il Sole 24 Ore”, che non è proprio l’ultima in Italia, che quindi ci ha permesso di qualificare il messaggio che desideravamo trasmettere.

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