lunedì 17 gennaio 2011

Intervista a Vittorio Torrembini

GIM-Unimpresa è nata circa quindici anni fa come associazione delle grandi aziende italiane presenti a Mosca. Nel corso di questi tre lustri essa si è trasformata nell’unica associazione delle imprese italiane – segnatamente, anche e soprattutto quelle piccole e medie, che costituiscono il tessuto vivo del “sistema Italia” – operanti nella Federazione Russa, ed è membro associato della Confindustria. A Vittorio Torrembini, residente in Russia da oltre vent’anni, che ne fu Presidente agli albori, e che ne è nuovamente Presidente da poco meno di tre anni, abbiamo rivolto alcune domande.

Oltre all’augurio di rito a tutti noi per un 2011 produttivo, è opportuno iniziare analizzando l’anno che ci siamo appena lasciati alle spalle. Quali sono stati i punti qualificanti della vostra attività in Russia durante il 2010?

Uno dei punti più qualificanti è stato quello dell’accentuazione della nostra presenza e della funzione della nostra associazione nei confronti delle autorità governative russe. Vorrei ricordare solamente l’incontro che abbiamo avuto a marzo 2010 con la ministra per lo sviluppo economico Nabiullina, che ha ricevuto una delegazione del GIM, durante il quale abbiamo affrontato una serie di problematiche che riguardano gli investitori stranieri e i rappresentanti delle comunità d’affari straniere in Russia, soprattutto quelle italiane. Abbiamo poi messo a segno una serie di importanti contratti sia nel settore energetico che in altri settori chiave dell’industria italiana, che con il 2010 ha ripreso ad avere una presenza forse non preponderante, ma comunque vicina ai livelli del 2008.

Nella comunità italiana in Russia talvolta girano voci circa una vostra presunta predilezione per le grandi industrie (ENI, ENEL, FIAT, Finmeccanica, ma sono solo degli esempi) a scapito delle piccole e medie imprese. Come stanno realmente le cose? Quale quota, tra gli associati, rappresentano le PMI? E, in ogni caso, come commenti queste voci?

Sono voci legittime. La presenza delle piccole e medie aziende, che è stato uno degli elementi caratterizzanti del GIM negli ultimi quindici anni, lo è tuttora: circa l’80% degli iscritti all’associazione sono piccole aziende, studi professionali, ecc.; però devo dire che la nostra presenza in questo Paese si è profondamente modificata. Abbiamo più di sessanta aziende che hanno attività produttive in Russia – oltre alle grandi, abbiamo anche le piccole e le medie aziende – e sostanzialmente è avvenuta una strutturazione della nostra presenza, che ha fatto sì che anche le piccole e medie imprese acquisissero delle strutture importanti. Insomma, la fotografia degli associati al GIM rispecchia quella che è la realtà della presenza italiana in questo Paese.

Su questo argomento vorrei però aggiungere che l’approccio che dobbiamo avere sulla questione della piccola e media industria non può essere tanto sulla presenza italiana in Russia e sul GIM, ma soprattutto sulle PMI in Italia. Purtroppo, nel nostro Paese – per effetto della crisi, del debito pubblico, delle politiche di sostegno alle PMI che sono ridotte al lumicino – manca una strategia: le necessità del mercato internazionale, che si è allargato e che vede il nostro Paese perdere posizioni di anno in anno, fanno sì che anche la struttura industriale italiana abbia bisogno di una modifica. Noi necessitiamo di piccole e medie imprese che si associno, abbiamo bisogno di aziende che lavorino per filiera, per reti. Questo è anche uno degli obiettivi del GIM. La presenza italiana in questo Paese è la dimostrazione di come effettivamente ci si stia muovendo in questa direzione: abbiamo Società, studi, uffici di rappresentanza che in buona parte dei casi rappresentano aziende specifiche, ma un’altra notevole parte rappresenta gruppi di aziende. E’ questa la maniera giusta per approcciare il mercato estero.

C’è anche un secondo punto che merita di essere sottolineato. Dicevo prima che manca una politica a favore delle PMI. Ebbene, uno degli obiettivi che non è stato centrato negli ultimi vent’anni nel nostro Paese è quello di aggregare, attorno alle iniziative delle grandi aziende, il lavoro delle piccole e medie imprese: strutturarlo, coordinarlo. Noi abbiamo la presenza di ENI ed ENEL con grandi attività industriali in questo Paese: l’obiettivo a regime è quello di collegare le necessità delle subforniture delle aziende dell’indotto al lavoro delle grandi aziende. Questa è la funzione che deve avere la nostra associazione: quella di creare una rete attorno alle aziende italiane che lavorano in Russia, per garantire lavoro anche alle PMI. In altre parole, quello che era avvenuto in Italia negli anni ’60 e ’70 si deve ora trasferire nei mercati esteri dove siamo e dobbiamo essere presenti. Questa è la differenza che possiamo riscontrare tra il GIM del ’94-’95 e quello del 2010.

Cosa ci puoi dire della collaborazione tra GIM-Unimpresa e le istituzioni italiane presenti in Russia, Ambasciata e Consolato in primo luogo, ma anche Istituto per il Commercio Estero, Ente Nazionale Italiano per il Turismo, l’agenzia di promozione della CCIAA di Milano “Promos”, Banca Intesa, Unicredit, Camera di Commercio Italo-Russa?

Storicamente, è una collaborazione molto stretta ed estremamente positiva, che in alcuni casi però risente del bilancio pubblico del nostro Paese, che taglia in modo indiscriminato tutte le spese in modo lineare, come suol dirsi, cosa che avrà anche permesso di salvare in parte i conti pubblici, ma facendo questo si penalizzano soprattutto quei settori – come il commercio estero – che al contrario avrebbero bisogno di essere privilegiati. Quindi, come dicevo, i nostri rapporti sono strettissimi, avendo creato un prototipo di collaborazione, un “sistema Italia”. Purtroppo, spesso mancano risorse, e a volte mancano anche “orecchi” italiani che ascoltino le nostre richieste.

Faccio alcuni esempi. Poco tempo fa abbiamo fatto una lettera di protesta perché il Ministero aveva deciso di chiudere il desk che era acquartierato all’interno dell’ICE, responsabile per la contraffazione e la difesa della proprietà intellettuale. L’abbiamo inviata al Ministro per protestare contro il fatto che un’iniziativa estremamente positiva d’improvviso si sia deciso di chiuderla del tutto, quando invece Russia, India e Cina sono i Paesi dove ce n’è più bisogno. Insomma, questo tipo di collaborazione bisognerebbe trasferirla anche in Italia. Noi come GIM, essendo un’arteria della Confindustria, esprimiamo le nostre opinioni anche a livello nazionale quando vengono i rappresentanti del governo italiano qui. E’ evidente che la stessa cosa non può avvenire nel caso dell’ICE, che ha un ottimo ufficio che svolge un lavoro enorme. Per fare un esempio, in proporzione a quello della Germania, è decisamente superiore, ma è un’istituzione vituperata e poco conosciuta, ed io dico sempre che se i tedeschi avessero l’ICE che abbiamo noi qui a Mosca, probabilmente riuscirebbero a raddoppiare l’interscambio con la Russia. Solo che i tedeschi hanno 1.500 aziende, e noi ne abbiamo 80.000 da seguire. Se qualcuno conoscesse il livello di lavoro che ha l’ICE, che ha la Promos, che ha la Camera di Commercio Italo-Russa a livello di richieste di informazioni quotidiane, capirebbe benissimo che è assolutamente improponibile che una struttura del genere possa rispondere a tutto ciò.

Che tipo di rapporti intrattenete con le istituzioni russe (Ministero degli Esteri, Commercio Estero, Sviluppo Economico, Dogane, ecc.)?

Rapporti ottimi. Però molto aperti. Il “motto” del GIM è “volendo essere amici di questo Paese, ci permettiamo anche di dire quando le cose non ci vanno bene”, o quando ci sono delle osservazioni, delle critiche da fare. Ho visto e detto che questo approccio viene particolarmente apprezzato. Ho già citato l’incontro con la ministra dello sviluppo economico Nabiullina. Ritengo che siamo l’unica associazione imprenditoriale in Russia ad avere avuto un incontro specifico col ministro dello sviluppo economico. Abbiamo inoltre lo European Business Club, che è una sommatoria di lobbies di grandi multinazionali di alcuni settori che si vede col ministro degli esteri Lavrov, e non abbiamo alcun problema a confrontarci con i funzionari del Ministero degli Esteri, ma anche con l’ambasciatore russo in Italia Meškov. Insomma, i rapporti sono eccellenti e costruttivi. C’è il grande tema delle dogane, che è uno dei punti dove manifestiamo di più sia l’amicizia che la critica: effettivamente è uno di quei “bubboni” che la stessa amministrazione pubblica russa non è ancora in grado di gestire nella maniera dovuta, e che credo provochi dei danni anche alla loro stessa economia ed imprenditoria. Io ho capito e vedo che la stessa dirigenza russa è consapevole di questo fatto, e ritengo che l’unione doganale tra Russia, Russia Bianca e Kazachstan sia un tentativo di ricondurre a dei termini normali l’attività della dogana, ma è un processo abbastanza complicato: teniamo presente che la dogana russa incassa circa il 50% del budget di questo Paese.

Un altro stereotipo da sfatare è quello per il quale sareste presenti solo a Mosca. Come stanno le cose, in realtà?

Noi siamo presenti dove ci sono gli italiani. Questi ultimi sono per la maggior parte a Mosca. Ce n’è un buon gruppo a San Pietroburgo, dove c’è una sezione del GIM, un’altra presenza – per il momento non estremamente significativa – è a Ekaterinburg, anche qui stiamo aprendo una filiale; un’altra filiale dovremmo aprirla a Krasnodar a marzo del 2011, poiché vi si è concentrato un gruppo di aziende che sono interessate soprattutto allo sviluppo delle attività legate alle Olimpiadi invernali di Soči del 2014, presenti ormai in maniera stabile.

Alcuni imprenditori italiani di lungo corso sono stati nominati consoli onorari in vari distretti industriali russi – le cosiddette ZES, zone economiche speciali – nell’ambito dei quali operano in simbiosi con le aziende italiane presenti. Quali obiettivi sono stati raggiunti? E quali ci si prefigge di raggiungere?

L’esperimento dei consoli onorari è stato estremamente positivo, sia per le aziende, che in questo modo hanno la possibilità di essere seguite nelle singole regioni di questo Paese, sia per il nostro Paese in generale, che, pur in assenza di grandi fondi, riesce comunque a coprire un territorio come quello russo, estremamente grande e variegato, e che vede proprio nelle regioni l’obiettivo e la strategia della propria presenza finalizzata allo sviluppo delle nostre aziende e del nostro Paese stesso.

Veniamo all’anno appena iniziato. La crisi globale sembra timidamente cedere il passo. Cosa ci si può aspettare, con sobrietà?

Per quanto riguarda la Russia, ritengo che possiamo aspettarci un consolidamento del trend della ripresa economica che si sta manifestando a livello generale. Devo però allo stesso tempo esprimere alcune perplessità su come i giusti messaggi, che vengono lanciati dal mondo politico ed economico russo per quanto riguarda la modernizzazione dell’economia di questo Paese, molto spesso vengano indeboliti dalla battaglia politica, che si sta ormai vistosamente manifestando per le prossime elezioni, prima quelle parlamentari alla Duma alla fine del 2011, e successivamente quelle presidenziali del 2012. Io spero, come si dice un po’ in tutta Europa, che prevalga il senso di responsabilità, prevalgano i giusti messaggi lanciati a livello generale dal mondo politico russo, quelli della modernizzazione come strategia, poiché credo che questo influirà positivamente anche sulla ripresa economica di questo Paese. A giudicare dai segnali che tutti abbiamo avvertito, vedo un fortissimo interesse da parte di tante aziende italiane per venire a fare investimenti in Russia. Molti di questi ultimi sono già programmati. Parlando con vari colleghi ho intuito che in molti dei nostri settori tradizionali – quello della moda, dello stile di vita italiano – la ripresa si sta consolidando. Ritengo quindi che l’anno che abbiamo davanti, se non succede nulla di particolare, cosa che non si può mai escludere, sarà estremamente positivo, e lo sarà soprattutto per gli investimenti diretti italiani in questo Paese a livello industriale in moltissimi settori.

Il 2011 è l’anno della lingua e la cultura russa in Italia e, viceversa, della lingua e la cultura italiana in Russia. Per questo secondo aspetto, al di là del ruolo dell’Istituto Italiano di Cultura, presente a Mosca e Pietroburgo, quale può essere il contributo delle aziende italiane e, più specificamente, della vostra associazione?

E’ un contributo che ormai sta scritto anche nei bilanci di molte delle nostre aziende, nel senso che i programmi culturali e linguistici previsti per questo anno vedono moltissime Società italiane nel ruolo di sponsor delle relative iniziative. L’elenco è in continua evoluzione, sta crescendo. Posso dire questo: il nostro Paese è molto considerato in Russia, con tutti i suoi pregi e difetti. I russi dispongono di una grande capacità di analisi, e noi siamo visti bene. Ritengo che sia un’occasione per cercare di far capire quali siano i punti di forza – spesso negati – della nostra industria e del nostro Paese. E’ dunque un obiettivo che non riguarda tanto le aziende in quanto tali – cosa che sarebbe comunque positiva – quanto il Paese Italia nel suo complesso. Occorre far valorizzare il lavoro degli italiani all’estero, noi lavoreremo in questa direzione: far conoscere in Italia le possibilità e i contributi che gli italiani e le aziende italiane che lavorano all’estero stanno dando al nostro Paese per il suo rinnovamento e per uscire dalle attuali gravi difficoltà. Questo messaggio deve passare attraverso la cultura per arrivare alla politica, all’economia. Questo sarà il piccolo grande contributo che noi, al di là delle sponsorizzazioni, vogliamo dare a questo evento.

Inevitabile una domanda riguardo non tanto alle informazioni contenute negli ormai famosi cablogrammi statunitensi divulgati da Wikileaks, quanto all’uso che ne hanno fatto i mass-media italiani in merito non solo ai rapporti preferenziali ai massimi livelli tra i nostri due Paesi, ma concretamente ai rapporti tra gli imprenditori italiani presenti in Russia e le istituzioni di questo Paese. In brevis, Wikileaks non si è mai sognata di affermare che talune affermazioni nordamericane corrispondano alla realtà dei fatti: si è limitata a rendere pubbliche le opinioni dei diplomatici USA. Nulla di più, nulla di meno. Su questo però gli organi di informazione italiani hanno unanimemente glissato. Quali commenti ti senti di fare?

Sono dell’opinione che i commenti diplomatici fatti off record, come sono i cablogrammi che vengono spediti, sono opinioni che appartengono alle singole persone. I rapporti tra i Paesi sono regolati da dichiarazioni ufficiali, ed io mi attengo a queste ultime. Tuttavia, emerge innanzitutto una certa insoddisfazione, una critica che emerge dai politici americani sui rapporti che ha l’Italia con la Russia, questo è innegabile, e non c’è bisogno di Wikileaks, basta parlare con molti imprenditori e politici statunitensi per comprendere che questo rapporto privilegiato – lasciamo perdere Berlusconi, tanto per esser chiari – che esiste tra i nostri due Paesi da fastidio, agli americani come ad altri. Sin qui, nulla da dire. Io ribadisco che questi rapporti per noi sono importanti e strategici. D’altro canto, non è la prima volta che gli americani si lamentano delle scelte strategiche italiane relative ai rapporti con la Russia. Basta ricordare la vicenda di Enrico Mattei. I comunisti in Italia erano all’opposizione. Enrico Mattei è stato il primo imprenditore statale europeo che ha intessuto rapporti commerciali stretti con l’Unione Sovietica, la qual cosa ha provocato problemi anche gravi con gli Stati Uniti, soprattutto li ha provocati lo stesso Mattei, che, con ogni probabilità, proprio per questa sua apertura, ha dovuto interrompere in modo violento la sua carriera. La storia ci insegna che la strategia del nostro Paese sul piano economico – per vari motivi – è diversa da quella degli Stati Uniti. In un’economia internazionale globalizzata, come è quella di oggi, il fatto che i Paesi abbiano interessi strategici e geografici diversi da quelli degli USA non deve scandalizzare nessuno.

Il secondo elemento che noto è la povertà, la pochezza di analisi sulla politica internazionale della nostra stampa italiana. E non mi riferisco a quella di destra o di sinistra, ma ai media italiani in quanto tali, che vivono la politica internazionale come un gossip quotidiano del nostro Paese. La politica internazionale è fatta di strategie, di analisi. Noi sembriamo agli albori. Voglio dire che anche i migliori analisti degli anni ’80 non hanno più spazio nei mass media italiani, questa è la cosa grave. Conseguentemente, questioni serie ed importanti vengono ridotte a teatrini, quello che è stato pubblicato nel 90% dei casi sono stupidaggini. Le cose serie, invece, non vengono fuori. Nessuno di questi cosiddetti grandi giornalisti – sia detto tra virgolette, visto che purtroppo non ce ne sono più tanti – si è mai sognato di andare ad analizzare, a verificare. Pubblicano notizie tipo “l’uomo che parla benissimo russo, il trait d’union”… Qui non c’è bisogno di alcun trait d’union, l’Italia è vista bene, quando veniva Prodi veniva ricevuto come rappresentante massimo del nostro Paese, e lo stesso quando viene Berlusconi, al di là delle sue amicizie. Quando viene l’amministratore delegato dell’ENI, viene ricevuto in pompa magna, che ci sia un governo di destra o di sinistra, e lo stesso vale per l’ENEL, per Finmeccanica e così via, questo è il punto. Allora anche la stampa italiana deve cominciare ad imparare innanzitutto ad analizzare le notizie, e ad avere una politica di informazione per il nostro Paese che parli dei livelli internazionali in modo diverso dal gossip.

Assieme all’attuale direttore dell’ICE di Mosca, Roberto Pelo, recentemente hai pubblicato un libro dal titolo programmatico “Sdelano v Italii”, “Fatto in Italia”, cioè “Made in Italy”. Quali obiettivi ti eri e vi eravate prefissi, nello scriverlo? E quali di questi sono già realizzati?

L’obiettivo era di cercare di mettere assieme, di creare un momento di analisi reale, depurato dai gossip, sulla nostra presenza in questo Paese. Delle “istruzioni per l’uso”, cosa hanno fatto gli italiani qui negli ultimi vent’anni, cosa possono fare nei prossimi vent’anni. Pur nella necessità di stringere, penso che il libro abbia raggiunto questo obiettivo, anche durante le varie presentazioni del libro in Italia l’attenzione che ci è stata dimostrata è notevole. Voglio ricordare solo una cosa: nel nostro Paese esiste una rivista che si chiama “Limes” e che si occupa parecchio di Russia in un modo che molto spesso non condivido; ebbene, hanno mostrato grande attenzione al nostro libro, fino a trarne una serie di spunti. Io stesso sono stato contattato da Caracciolo, che ha intenzione di fare un pezzo particolare sul libro perché viene ritenuto un modo nuovo di parlare e di discutere della presenza economica italiana in questo Paese, al di fuori dei giochi e degli intrighi politici. Questo libro è la dimostrazione di come la presenza italiana in Russia non è solo ENI, ENEL e Finmeccanica, ma decine e decine di altre aziende: la Indesit, la Ferrero, tantissime altre piccole e medie, che qui hanno fatto grandi realizzazioni e che caratterizzano la presenza italiana in questo Paese. E’ un tentativo di riportare al centro quello che è stato il nostro lavoro e le possibilità che ci sono, e fare chiarezza, dare “istruzioni per l’uso”, come già dicevo, per quelle aziende italiane che vogliono affrontare questo mercato. Nelle prossime settimane cominceremo a presentare l’edizione russa, e spero che abbia la medesima risonanza anche tra i russi, ma credo che l’obiettivo che ci eravamo prefissi in buona parte sia stato realizzato. Mi corre l’obbligo di cogliere l’occasione di questa domanda per ringraziare tutti gli imprenditori italiani che hanno lavorato e lavorano in questo Paese, che mi hanno permesso di avere accesso ad informazioni particolarmente importanti, e tutte le aziende del GIM, piccole, medie e grandi, che hanno permesso al libro di avere questa risonanza. Last not least, voglio ringraziare la casa editrice, “Il Sole 24 Ore”, che non è proprio l’ultima in Italia, che quindi ci ha permesso di qualificare il messaggio che desideravamo trasmettere.

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